Il Canada segue, nella crescita e nella contrazione – decimale più, decimale meno – gli Stati Uniti e la cosa non sorprende, data l'interdipendenza delle due economie. Come ha fatto allora il sistema bancario canadese a evitare la crisi di quello americano?
La risposta è abbastanza semplice: un sistema di regole che funziona. Il tema è noto ai lettori di Mercati e mercanti («Canada e Spagna, perché le banche per ora tengono», 4/3/2009). Ora il dibattito è diventato di grande attualità a sud del confine, dopo un articolo della canadese Christya Freeland sul Financial Times, ripreso nel blog del Nobel Paul Krugman e addirittura da Paul Volcker per tirar l'acqua (un po' impropriamente) al mulino della sua riforma delle banche Usa. I tre interventi sono serviti al ministro delle Finanze canadese, Jim Flaherty, per farsi bello con i suoi colleghi al G-7 di Iqaluit, fra una gita in slitta e l'altra, e proporre il modello canadese per il resto del mondo.
In realtà, diverse delle regole in vigore da tempo per le banche candesi sono già al centro della discussione a livello internazionale, soprattutto nel Financial Stability Board. I pilastri sono sostanzialmente tre: 1) un capitale primario (Tier 1) al 7% fin dal 1999, quindi ben al di sopra dei requisiti di Basilea 2; 2) il 75% di questo è costituito da azioni ordinarie, non da strumenti "ibridi" e, come ha provato la crisi, di dubbia tenuta; 3) il leverage ratio, cioè il rapporto fra indebitamento e attivo, ha un tetto di 20 a 1, ben al di sotto dei livelli toccati dalle banche Usa ed europee, limitando quindi l'uso eccessivo della leva finanziaria. A ciò si aggiunga che il sistema della vigilanza è efficiente, e non frammentato come negli Usa. Per il World Economic Forum, il sistema bancario canadese è il più solido del mondo.
La Bank of Canada è fra l'altro uno dei più convinti seguaci dell'inflation targeting, la politica monetaria focalizzata su un obiettivo d'inflazione, che altrove è stata accusata di aver creato i presupposti della crisi ignorando la formazione delle bolle nelle Borse e soprattutto nel mercato immobiliare. Qui non c'è nessuna bolla, ripetono anche in questi giorni a Ottawa, nonostante gli ultimi dati sull'immobiliare, diffusi in settimana, parlino di record di prezzi e di vendite delle case. Molti economisti sono più scettici e ritengono che questa possa essere la vulnerabilità che finirà per mettere a nudo l'hubris delle autorità canadesi.
È interessante però notare che, a fronte di questi segnali di rischio potenziale (i mutui per la casa sono la base della redditività delle banche canadesi), sono stati i capi delle cinque grandi banche a chiedere alle autorità di introdurre restrizioni più severe alla concessione dei mutui. Proprio il contrario delle pressioni a suon di lobby delle banche Usa per una deregulation totale nel prologo della crisi e per la resistenza a nuove regole ora. Forse la differenza sta tutta qui. Un banchiere prudente vale più di mille regole.